martedì 3 marzo 2009

LA FUGA DELLE AZIENDE DALL'ITALIA

Notizia di stamattina: lo stabilimento dell’Indesit a None chiude definitivamente i battenti.
Ma in fondo non è novità: Benetton e Merloni hanno comunicato che chiuderanno i loro stabilimenti presenti nella nostra provincia, la prima per spostare la produzione in Tunisia e il secondo, avendo aperto uno stabilimento in Polonia non vede la necessità di tenere in vita anche quello italiano.
La crisi c’è, è un problema reale di portata mondiale ma che si usino questi momenti drammatici per fare operazioni finanziare, riallocare aziende e chiuderne altre, non perché mancano le possibilità nel mercato, ma allo scopo di produrre a bassissimo costo per incrementare i propri profitti, è assolutamente inaccettabile.
Sembra il naturale e ineluttabile percorso delle cose, ne prendiamo notizia con rammarico e profonda rassegnazione? No! La soluzione è un’altra, occorre infatti che la collettività, nelle sue varie articolazioni, incominci a pensare seriamente alla propria tutela, partendo dalla verifica puntuale di come, se, quando e in che modo questi illuminati imprenditori abbiano ricevuto aiuti e contributi statali. Se è vero che in un libero mercato ognuno è libero di fare con i propri soldi ciò che vuole, è anche vero che se la collettività è intervenuta a sostegno di alcuni imprenditori, questi dovrebbero rispondere delle loro azioni alla società.
Con questo voglio richiamare l’attenzione direttamente sulle associazioni imprenditoriali, in particolare Confindustria sempre pronta a puntare il dito sul mondo del lavoro quando, in nome del bene nazionale, chiede interventi di contenimento del salario mentre risulta essere completamente indifferente nel momento in cui le sue associate semplicemente abbandonano il territorio del nostro Paese.
Cinicamente parlando, se continuiamo così, le famose foto d’autore, colorate e attente ai temi sociali, utilizzate per la pubblicità della Benetton potrebbero trovare un ottimo sfondo qui in Italia: un Paese ormai devastato proprio da coloro che dovrebbero far girare l’economia risollevandolo;, ma la povertà oggi non deve essere cercata molto lontano.
Forse, dovremmo far cantare l’inno nazionale non tanto ai calciatori ma a questi imprenditori irresponsabili e senza scrupoli…chissà che non venga anche a loro un po’ di amore per la patria.
dal blog di Sergio Vallero

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