venerdì 27 febbraio 2009

FIAT: CASSA INTEGRAZIONE E BONUS AI DIRIGENTI

Martedì scorso abbiamo letto la notizia che il Consiglio di Amministrazione della FIAT ha deciso di acquisire sul mercato ottomilioni delle azioni del gruppo da destinare come incentivo ai suoi dirigenti.

Ottomilioni di azioni valgono, alle quotazioni attuali di mercato, poco più di 28 milioni di euro.

Ne consegue che la multinazionale dell’auto ha deciso di riconoscere ad un certo numero di dirigenti un aumento economico, o meglio una gratifica, di 28 milioni di euro.

Per essere puntigliosi, sempre in base alle notizie di stampa, di riconoscere settemilioni di euro all’Amministratore delegato e il resto ai dirigenti che risulteranno meritevoli nel raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2011.

Ora, mi attendevo che i fustigatori della pubblica morale avessero qualche osservazione da fare.

Mi attendevo che gli illuminati riformisti, pronti ad ogni tre per due, a spiegare ai lavoratori dipendenti che devono fare sacrifici, si strappassero le vesti per lo sdegno e per lo scandalo morale di così tanti soldi dati a così pochi mega dirigenti.

Mi attendevo che la Curia torinese, così pronta ad intervenire su tutto lo scibile umano (dalle questioni etiche alla TAV) provasse almeno a sussurrare qualche imbarazzo di fronte a manager super pagati e a lavoratori in cassa integrazione.

Speravo che gli operatori della informazione, ormai così attenti ai fatti di costume, analizzassero la notizia e, magari, si cimentassero in quei sondaggi che rendono molto bene quando sondano gli umori nei confronti delle paure o del degrado cittadino.

Contavo molto sugli ammiratori nostrani del nuovo Presidente degli Stati Uniti, delle sue politiche economiche e sociali ( comprese tasse ai più ricchi e freni ai mega stipendi) perché intervenissero per lanciare anche qui il loro basta.

Nulla, il silenzio più assoluto, devastante, fastidioso,irritante.

Rien de rien come cantava Edit Piaff.

E allora scrivo questa lettera per dire che non ci sto.

Non posso andare davanti ad aziende che chiudono, vedere donne e uomini che tra due o tre mesi non avranno più uno stipendio e sapere che un gruppo ristretto e privilegiato di persone avrà aumentato lo stipendio di 28 milioni di euro.

Non posso non ricordare come 28 milioni di euro siano più di un terzo di tutti i soldi investiti dagli enti locali per acquisire le aree FIAT dismesse per sostenere l’Azienda, non certo per dare aumenti ai manager.

Sono un amministratore locale e la mia voce conta per uno. Ma se saremo in tanti a indignarci, a chiedere conto a questi signori di privilegi e arroganti decisioni assunte mentre chiedono incentivi pubblici per sostenere l’azienda, romperemo questo muro di silenzio ipocrita e fastidioso.

C’erano già tanti motivi per aderire alla marcia per il lavoro della CGIL che si terrà sabato.

Questo è sicuramente uno in più.


dal blog di Sergio Vallero

mercoledì 18 febbraio 2009

PROBLEMA SICUREZZA

Rispondo alla Signora che ha scritto ieri un interessante commento.
Per non girarci troppo attorno: la questione posta dall’anonima commentatrice è vera e reale: nascondendosi dietro a risposte evasive o fingere che non sia così non ci aiuta certamente a capire cosa succede nella vita reale con conseguenze che alla lunga possono diventare disastrose.
La questione non è però puntare il dito sulla nazionalità di chi compie un atto illegale, ma concentrarsi sull’atto stesso. Porto un esempio: durante la “Festa Rossa” tenutasi il Settembre scorso a Candiolo un manipolo di persone sono arrivate mentre si festeggiava e hanno dato inizio ad una rissa molto violenta. Io stesso sono stato malmenato e un mio caro amico è dovuto andare in ospedale. Non erano né rumeni, né albanesi e neppure magrebini…erano tutti personaggi di italica cittadinanza!
Dunque, il problema è concreto ma le risposte sbagliate: si urla all’untore, si grida l’emergenza, si approvano decreti su decreti, si pensano pene altissime per chi viola la legge, si organizzano ronde e si colpevolizzano gli extracomunitari, senza tenere conto che la violenza dilagante oggi è dovuta anche a cittadini italiani. La violenza è violenza senza preferenze di colore o provenienza.
Di fronte al problema della sicurezza che si presenta, oggi più che mai urgente, occorrono delle risposte diverse.
Ovviamente il presidio del territorio. Occorre quindi che le forze dell’ordine siano più presenti con azioni di prevenzione e repressione nei confronti di coloro che commettono reati.
Altrettanto importante la certezza e la velocità della pena. Non basta annunciare pene severissime se poi chi commette reati non resta in carcere, occorre che i tribunali assicurino veramente i trasgressori alle pene correlate, e che ci sia una velocità effettiva nell’esecuzione di tali pene.
Terzo punto importante, ripristinare il principio che l’arroganza e la prepotenza non pagano, sia che si parli di reati contro le persone, sia che si parli di reati contro la proprietà – anche se a commetterli sono i grandi speculatori finanziari – oppure che si tratti di norme che vanno a tutela solo di qualcuno (dal Lodo Alfano alle quote latte).
Infine, intervenire sul territorio come seria opera di prevenzione. Occorre che si organizzino i tempi e luoghi per una rinnovata vita collettiva che torni a riempire le città perché, è stato provato, che laddove i cittadini non vivono più le strade delle loro città queste si riempiono delle più svariate forme di devianza.
Sono risposte complesse per un problema altrettanto difficile che non tocca solo il nostro Paese ma tutte le aeree a grande concentrazione urbana. Purtroppo, il problema della sicurezza non si risolve con l’immediatezza e né tanto meno fomentando la paura che anzi, rischia di acuire anche quel fenomeno che è la percezione dell’insicurezza facendo intravedere fantasmi anche laddove non esistono.

dal blog di sergio vallero

lunedì 16 febbraio 2009

QUOTE LATTE

L’Italia dei condoni.
Condoni edilizi, fiscali e ora vengono anche premiati coloro che non hanno rispettato le quote latte. Il 5 Febbraio scorso il governo ha presentato un nuovo decreto legge. L’ennesimo. Questa volta, al centro dell’attenzione governativa non si è posta la sicurezza con le sue ronde di “bravi” cittadini o la “salvaguardia” estrema di una vita umana, no, ora si ritorna a parlare di quote latte. E a rimetterci – come sempre– sono proprio i produttori onesti che hanno rispettato e seguito la legge.
Nuove quote giungeranno da Bruxelles e il nostro Paese ha il compito di ripartirle nel modo migliore: invece di prediligere chi le leggi le ha rispettate, oggi si vogliono dare nuove possibilità a chi le quote di produzione le ha sempre, continuamente e volontariamente sorpassate.Oltre il danno anche la beffa. I produttori di latte che hanno fatto, con ingenti sforzi, continui investimenti per restare dentro i parametri, si vedono ora togliere la possibilità di avere delle agevolazioni.
Ricominceremo a vedere strade e piazze in un fiume di latte occupate da questi produttori?
Giustamente, i rappresentanti del mondo agricolo si sono rivolti alle istituzioni a loro più vicine. Per questo, g giovedì pomeriggio si è riunita la commissione agricoltura in Provincia dove si è discusso di questa problematica vicenda, ascoltando varie associazioni tra cui Coldiretti, Confagricoltura, l’Associazione Regionale Produttori di Latte e la Confederazione Italiana Allevatori, erano presenti anche rappresentanti del Cobas che però non sono intervenuti. Le posizioni di malessere raccolte durante la commissione sono state doverosamente accolte e ho dato il mio impegno a discutere questo spinoso problema al più presto in sede consigliare.
Ma come possiamo aiutare questi onesti produttori di latte se il governo passa ancora una volta un colpo di spugna sulle questioni istituzionali? Già, si predica bene e si razzola male: si inneggia al decentramento, al Federalismo come unica possibilità di migliorare la situazione in Italia e poi si nomina un commissario nazionale che si occupi della distribuzione delle quote latte. Vergognosa e gravissima ingerenza, con cui Regione e Provincia sono state espropriate delle loro competenze, per fare in modo che non si frappongano ostacoli alla volontà del governo e del ministro Zaia di portare a compimento l’impiego di tutelare e salvaguardare i grandi produttori che hanno violato le regole.


dal blog di sergio vallero

martedì 10 febbraio 2009

GIORNO DEL RICORDO

Il 10 Febbraio del 1947, con il Trattato di Parigi, vennero tracciati i nuovi confini dell’Europa post bellica.
La nazioni sconfitte, Italia e Germania, si videro modificare i confini territoriali per cui, Istria e Dalmazia furono assegnate alla Repubblica Iugoslava. Questo spostamento geografico sanzionò quanto era già in atto dal 1945, sanzionò che migliaia di persone erano minoranza etnica in un paese non più loro.
Furono tantissimi quelli che decisero di emigrare dalle loro case, dalle loro terre, per entrare nel territorio Italiano.
Un esodo doloroso, che concluse un lungo periodo di anni duri, iniziate con l’occupazione dei paesi balcanici da parte dell’esercito italiano, con l’accompagnamento di uccisioni e distruzioni che, poco o nulla, avevano da invidiare a quelle dell’alleato tedesco che ben abbiamo conosciuto nel nostro paese.
Anni proseguiti con la ritorsione violenta e sanguinosa operata dagli iugoslavi nei confronti delle popolazioni di lingua italiana. Migliaia di uccisioni che assunsero una vera e propria caratteristica di pulizia etnica.
E infine l’esodo, i campi profughi, l’essere e sentirsi stranieri in casa propria.
Una storia poco conosciuta che dobbiamo ancora approfondire e studiare.
Una storia che, come abbiamo ripetuto in questi anni di commemorazioni, ha visto gli istriani e i dalmati pagare un prezzo altissimo alla follia della guerra e della dittatura.
Come in ogni occasione in cui, una legge dello stato, ci impone di celebrare o commemorare una data o un avvenimento, noi possiamo comportarci in modo formalmente ineccepibile e burocratico, aderendo con momenti formali, appunto, squisitamente commemorativi. Oppure utilizzare l’occasione per riflettere sul perché possano succedere fatti così drammatici, perché uomini e donne possano trasformarsi in persecutori e aguzzini, in nome di una superiorità etnica o territoriale.
Noi, noi tutti, abbiamo assaporato, da ormai quattro generazioni, il gusto di vivere in pace, di vivere in un paese democratico, di essere tutelati da una Costituzione che ha saputo fare tesoro delle esperienze drammatiche della guerra e della dittatura.
Ricordare la nostra storia, i drammi e le paure vissute può aiutarci ad essere più consapevoli del nostro presente. Un presente che in questi giorni ci rimanda un paese giustamente diviso su una questione sensibile come il rapporto tra la vita e la morte, tra il diritto del singolo e gli obblighi di una collettività.
Non c’è miglior antidoto alla dittatura che la libertà di criticare ilo potere e chi lo rappresenta. Ma criticare, anche aspramente non è intaccare figure e ruoli istituzionali, come quello del Presidente della Repubblica. No lo è intaccare il principio sacrosanto della separazione dei poteri e del controllo tra ordinamenti e poteri che sono la salvaguardia, in un paese democratico, che nessuno possa mai, in nessun momento, prevaricare l’ordinamento democratico e costituzionale, unico e v ero baluardo al mantenimento della libertà di tutti.
Per condivisione di quanto contenuto, e in esplicita solidarietà con il nostro Presidente della Repubblica, voglio concludere riportando una parte del messaggio che, il Presidente ha pronunciato questa mattina, nella cerimonia tenuta al Quirinale: “Il Giorno del Ricordo voluto dal Parlamento ha corrisposto all’esigenza di un riconoscimento umano e istituzionale, già per troppo tempo mancato e giustamente sollecitato. Esso non ha nulla a che vedere col revisionismo storico, col revanscismo e col nazionalismo. La memoria che coltiviamo innanzitutto è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sue avventure di aggressione e di guerra. E non c’è espressione più alta di questa nostra co9nsapevolezza, di quella che è segnata nell’articolo 11 della nostra Costituzione, là dove è sancito il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. Non dimentichiamo e cancelliamo nulla: nemmeno le sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo e della guerra. Ma non possiamo certo dimenticare le sofferenze, fino a un’orribile morte, inflitte a italiani assolutamente immuni da ogni colpa. E non possiamo non sentirci vicini a quanti hanno sofferto comunque di uno sradicamento a cui è giusto che si ponga riparo attraverso un’obbiettiva ricognizione storica e una valorizzazione di identità culturali, di lingua, di tradizioni, che non possono essere cancellate. Nessuna identità può essere sacrificata o tenuta ai margini nell’Europa unita che vogliamo far crescere anche insieme alla Slovenia e alla Croazia democratiche.
Le nuove generazioni non possono lasciar pesare sull’amicizia tra i nostri paesi le colpe e le divisioni del passato: alle nuove generazioni spetta fare opera di verità e di giustizia, nello spirito della pace e dell’integrazione europea, sempre rendendo omaggio alla memoria delle vittime e al dolore dei sopravissuti, rendendovi omaggio con lo sguardo più che mai volto al futuro”.

venerdì 6 febbraio 2009

SOLIDARIETA' AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NAPOLITANO

Quanti strappi ancora alla Costituzione?
Solo ieri è stata approvata la norma sulla sicurezza e oggi si presenta un nuovo, grosso problema: è stato approvato il decreto legge sul caso di Eluana Englaro nonostante l’avviso del Presidente della Repubblica a non avviare il procedimento. Fortunatamente Napolitano non ha controfirmato il decreto ricevendo moltissimi messaggi di solidarietà.
E’ inconcepibile che il Governo non abbia accolto le parole di Napolitano, arrogandosi il diritto di varare questo nuovo decreto. La gravità di questo atto risiede anche nella affermazione di Berlusconi che se il Presidente della Repubblica non avesse apposto la sua firma, nel giro di tre giorni si sarebbe creata una nuova legge.
Ma dove è finito il rispetto per la Costituzione? E per il garante di questa?
In questi giorni si presentano ai nostri occhi tutti segnali pericolosi per un Paese civile. E la domanda sorge spontanea: dopo il decreto di ieri, pensano di mandare le ronde anche sotto il Quirinale per minacciare il Presidente della Repubblica?
Presidente, a cui va tutta la mia solidarietà.

giovedì 5 febbraio 2009

SI CHIAMANO POPOLO DELLE LIBERTA'

Oggi al Senato della Repubblica è stata approvata a maggioranza una norma intollerabile: i medici dovranno denunciare gli immigrati clandestini, la tassa di soggiorno aumenta da 80 a 200 euro, le persone senza fissa dimora verranno schedate e come se non bastasse si autorizzano le ronde purché non armate.
Si chiamano Popolo delle Libertà, ma vogliono imporre leggi indegne per un Paese civile.
Impongono, o tentano di imporre, limiti inaccettabili alla libertà delle persone, sorvolano sul sacrosanto principio del segreto professionale, obbligando i medici ad andare contro il loro stesso codice deontologico. Ma non si pensano agli effetti. I clandestini, per paura, non si faranno più curare dalle nostre strutture pubbliche, incentivando probabilmente vie mediche alternative quanto mai pericolose. I diritti umani vengono così tristemente dimenticati e sorpassati dalla questione della cittadinanza.
Nel contempo, il Governo si intromette con provvedimenti legislativi negli aspetti più delicati e intimi della vita delle persone. E’ un paradosso, ma se da una parte non si vogliono più garantire le cure necessarie alle persone senza cittadinanza, dall’altra si impongono cure, basti pensare al caso di Eluana Englaro.
Oggi, nel mirino ci sono gli extra comunitari poiché proprio queste leggi liberticide vengono dapprima applicate sui soggetti più deboli colpendo nel contempo la sensibilità dei cittadini che in questo momento sono spaventati dalla tremenda crisi attuale nonché dalla dilagante violenza urbana. Timore che senza dubbio viene alimentato e amplificato da un sistema mediatico che con ossessiva maniacalità si occupa più della provenienza del colpevole che della gravità del reato commesso.
Ma superato il limite, abbattuto il principio, dove ci si ferma? Come persone civili ci si deve indignare dinnanzi a questi atti legislativi che pestano i diritti umani, il vivere civile, la dignità umana.
E’ davvero da questo governo che vogliamo essere rappresentati nel mondo?
E’ davvero quello che vogliamo a sessant’anni dalla approvazione della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo?

mercoledì 4 febbraio 2009

OPERAI ITALIANI CONTESTATI IN INGHILTERRA

Viva l’Europa delle libere frontiere, della libera circolazione delle merci e delle persone.
Gia, fino a quando le persone sono turisti, uomini o donne d’affari, businnes men (women) o calciatori.
Non certo se sono operai o tecnici.
La favola dell’Europa libera e unica si trasforma in un incubo (come per i lavoratori italiani che in questi giorni vengono contestati in Inghilterra).
Colpa degli abitanti della “perfida Albione”, abituati da secoli di storia coloniale ad occupare ed invadere e non ad essere “invasi”?
Colpa dell’immagine non sempre brillante che ci accompagna all’estero, tipo pizza – mafia – mandolino?
Se vogliamo inventarci delle risposte abbiamo da pescare in migliaia di luoghi comuni che, come paraventi, possiamo mettere tra noi e la realtà.
Una realtà che si è alimentata in questi decenni della retorica del liberismo più sfrenato, degli accordi mondiali sulla regolamentazione dei mercati e delle merci e che ha fatto macelleria sociale di chi (i lavoratori) queste merci produce.
Basta fare un piccolo sforzo di memoria per andare alle tante aziende (italiane e non) chiuse per essere decentrate nei paesi in cui, bassi salari e pochi diritti, garantivano (e garantiscono) alti profitti da investire, magari, nelle speculazioni finanziarie.
Adesso siamo al dunque e la questione dei nostri connazionali contestati in Inghilterra, rischia di essere la punta più visibile di un conflitto che, abilmente, è stato spostato da quello storico (almeno dalla industrializzazione di metà ottocento) tra capitale e lavoro a quello tra territori, che da sempre si tramuta, inesorabilmente, nella competizione tra poveri.
Una delle grandi conquiste culturali dell’epoca moderna è stata quella di considerare il lavoro come elemento fondante del diritto di cittadinanza, sostituendolo ai diritti feudali o al mero possesso di beni. Lavori, produci, sei partecipe (alla pari) nella costruzione del benessere collettivo.
Non merce, quindi, ma diritto fondante e costitutivo di una società moderna e democratica.
La rabbia, legittima, che proviamo nel vedere insultati i nostri connazionali, dovrebbe indurci a riflettere sul dove stiamo andando, sul perché è successo e, magari, iniziare a vaccinarci contro quella pessima malattia che ci fa gridare contro gli stranieri che ci porterebbero via il lavoro e non contro chi il lavoro lo toglie o lo sposta, pensando molto poco al bene nazionale e molto più al suo conto in banca.