mercoledì 28 gennaio 2009

GIORNATA NAZIONALE DELLA PARTECIPAZIONE

CONSIGLIO PROVINCIALE APERTO 30 GENNAIO 2009 ORE 15.00

Il Presidente del Consiglio Provinciale, Sergio Vallero, ha proposto durante la conferenza capigruppo di convocare un Consiglio Provinciale aperto, in occasione della giornata nazionale della partecipazione, sulla questione dell’abolizione delle Province. La proposta, accettata dai capigruppo, ha portato alla convocazione del Consiglio aperto venerdì 30 gennaio alle ore 15.00.
La Provincia di Torino aderisce così alla decisione del consiglio direttivo dell’Upi, Unione Province Italiane, di tenere in tutta Italia Consigli Provinciali aperti che danno la possibilità a sindaci, rappresentanti di Parlamento e Regioni nonché a imprenditori e cittadini di parteciparvi.
Con l’avvio del dibattito parlamentare sul federalismo fiscale, contestualmente alla attuale crisi economica nazionale e mondiale, è ripresa la campagna denigratoria contro le Province e, in generale, contro le istituzioni territoriali che fondano il presidio pluralistico e democratico della Repubblica Italiana. L’abolizione delle Province è senza dubbio un “attacco alla democrazia”, in quanto verrebbe meno l’unico ente che sul territorio ha la legittimazione democratica nonché una forte capacità di rappresentanza generale ed organizzata.
Inoltre, in questo dibattito non si comprende quale sia il reale risparmio derivante dalla soppressione delle Province, considerato che l’incremento delle spese e del personale sono causati da deleghe di funzioni o trasferimenti da parte di Stato e Regioni.
L’obbiettivo del Consiglio aperto è quello di sollecitare Governo e Parlamento alla rapida approvazione di norme che possano semplificare e razionalizzare le funzioni ad ogni livello di governo previsto dalla Costituzione, ma non solo, sarà anche un’occasione per ribadire il quotidiano impegno delle Province sul territorio.

mercoledì 21 gennaio 2009

GIORNO DELLA MEMORIA

Memoria è un termine che può essere declinato in molti modi.
C’è una memoria che conserva i nostri ricordi individuali, rimandandoci nostalgia o dolore o sofferenza.
C’è una memoria collettiva, costitutiva nel bene e nel male del nostro modo di essere comunità.
C’è una memoria storica, elenco di fatti, avvenimenti e attori di questi.
Nel caso della Shoa abbiamo la necessità, il dovere, di coltivare più tipi di memoria.
Certamente quella storica, quella dei fatti, degli avvenimenti, del perché sono successi, di chi erano le colpe, di chi le indifferenze, chi le vittime.
Abbiamo la necessità di farlo perché, se pure e fortunatamente, da parte di piccole minoranze si nega quanto successo, si negano non solo i numeri, ma la stessa esistenza di un progetto, di una pianificazione ragionieristica dello sterminio degli Ebrei europei, degli zingari, delle popolazioni (come quelle Slave) considerate non di razza ariana.
Memoria storica da trasmettere in modo puntiglioso per evitare che, menzogne o fantasiose verità, nel tempo diventino vulgata, senso comune.
Ma, alla memoria storica, rigorosa sui fatti, sugli attori, sulle vittime, dobbiamo affiancare quella sul perché donne e uomini della Germania, della Francia ,dell’Italia, paesi certamente ricchi di storia e di cultura, culla del pensiero moderno, perché quelle donne e quegli uomini si trasformarono in carnefici feroci o, nella migliore delle ipotesi, in testimoni muti e accondiscendenti.
Il giudeo delle barzellette, il deicida (per altro ritornato alla ribalta nelle dichiarazioni del vescovo lefevriano che nelle scorse settimane ha impunemente dichiarato la inesistenza dell’olocausto) l’avido speculatore, erano stereotipi diffusi nell’Europa di inizio secolo, stereotipi accettati, frutto di centinaia di anni di persecuzioni religiose e di emarginazioni sociali.
Un terreno di cultura su cui il regime nazista fece leva per individuare il nemico interno, ostacolo allo sviluppo di una nuova grande nazione, forte, padrona del mondo, composta da popolazioni di razza pura, di razza ariana.
Una strada che fu presto seguita dal regime fascista italiano e da quasi tutti i regimi collaborazionisti nati nella Europa occupata dalle truppe naziste.
Sarebbe interessante e istruttivo che tutti, almeno una volta nella vita, leggessero il “manifesto della razza” per comprendere a quali livelli di stupidità umana possa giungere chi, piccandosi di essere un intellettuale, si asservisce al potere, o chi tenta di dare dignità scientifica a tesi ed argomenti che hanno radice solo nella pochezza culturale, nell’egoismo dei singoli, nella paura di affrontare il futuro.
Quindi la memoria di quanto successe, del perché fu possibile e, mi permetto di affermare, l’uso e la attualizzazione di questa memoria per evitare che tutto rimanga a livello commemorativo.
Se ancora oggi le nostre comunità non sono vaccinate contro il germe del razzismo, se ancora è possibile che in più parti del mondo si compiano genocidi che rischiano di eliminare interi ceppi etnici, noi abbiamo bisogno di mantenere attuale la memoria della Shoa.
Sino a quando non proveremo lo stesso senso di sgomento, di angoscia, di orrore e di rabbia che proviamo nel vedere le immagini dei campi di sterminio nazisti anche di fronte alle immagini dei nuovi genocidi, non saremo immuni dalla possibilità che possano riprodursi anche qui, da noi, i pensieri aberranti della superiorità razziale o della distruzione, o emarginazione, di chi è ritenuto inferiore.
Prima di dare la parola al Dottor Montagnana che ringrazio per aver aderito al nostro invito e che interverrà a nome della Comunità Ebraica di Torino, vorrei richiamare ancora un punto di riflessione che riguarda l’ipocrisia.
Di fronte alla conclamata conoscenza di quanto avveniva, l’ipocrisia fu uno degli elementi che consentì il concretizzarsi dello sterminio di milioni di Ebrei, di zingari, di testimoni di Geova, delle popolazioni slave, degli omosessuali, dei portatori di handicap.
E, per quanto riguarda il nostro paese, anche consentire la deportazione di centinaia di migliaia di militari che, dopo l’otto settembre rifiutarono di continuare la guerra a fianco dei nazisti e della repubblica di Salò, delle migliaia di persone destinate al lavoro coatto, degli oppositori politici dei partigiani combattenti.
L’ipocrisia del silenzio, del voltarsi dall’altra parte per non vedere, del non ci interessa.
L’ipocrisia di chi non scelse e accettò quanto avveniva come ineluttabile, come un fatto a cui non era possibile opporsi.
È una ulteriore memoria, quella della ipocrisia, che dobbiamo coltivare insieme a quella dei tanti che non furono ipocriti, che si batterono con o senza le armi, quelli che in una giornata come oggi, vogliamo ricordare come i giusti.
E, per non praticare in questa aula nessun tipo di ipocrisia, concludo questa introduzione richiamando un tema oggi drammaticamente attuale e che può essere, anzi è stato, foriero di pericolosi rigurgiti di antisemitismo e di gesti di intolleranza.
La guerra in Palestina.
La guerra in Palestina ha prodotto in tutti noi sentimenti di grande sofferenza e ha scosso la coscienza di moltissime persone.
Le immagini di devastazione e di morte per giorni ci hanno fatto vivere il dramma delle popolazioni civili coinvolte in un conflitto che sembra non trovare conclusione se non con la distruzione fisica dell’avversario.
In molti sono scesi in piazza per contestare le politiche del Governo di Israele. Sino a qui scelta legittima, da rispettare e, se lo si ritiene, da condividere.
Diverso e inaccettabile che, queste contestazioni scendano sul terreno dell’offesa ad un popolo con i roghi di bandiere o con atti compiuti contro cittadini italiani membri delle comunità ebraiche, accumunando in un unicum, Stato di Israele, Governo di Israele, popolo di Israele e ebrei, per il solo fatto di esserlo.
Anche in questo caso la memoria ci deve aiutare a distinguere (così come facciamo nel caso in cui nel conflitto siano impegnati altri stati e altri governi) tra le scelte di questi e i popoli che rappresentano, tra quello che possiamo considerare un errore, o un orrore, compiuto da alcuni e la generalizzazione nei confronti dei tutti.
Quando questo succede non possiamo che essere senza equivoci contro chi si produce in questi atti o in queste riflessioni.
Solo così, l’esercizio e l’uso della memoria hanno un senso e sono utili a fare in modo che, più nessuna donna e nessun uomo, siano vittime di razzismi, di furori religiosi o ideologici.