martedì 28 aprile 2009

SECONDA PUNTATA

Come volevasi dimostrare.
La mia domanda riguardo il referendum elettorale, che si terrà il prossimo Giugno, era puramente provocatoria, per segnalare quanto scarsa o carente sia l’informazione fornita ai cittadini che saranno chiamati a votare.
In sintesi:
Con il 1° e il 2° quesito si chiede di dare il premio di maggioranza alla lista più votata e innalzare la soglia di sbarramento.
Dal 2005, nel nostro Paese è previsto un sistema proporzionale con premio di maggioranza, con la possibilità alle liste di coalizzarsi per ottenere il premio più alto; ciò ha fatto sì che, alle ultime elezioni, si siano formate coalizioni composte da numerosi partiti al proprio interno. Il referendum elettorale prevede invece che il premio di maggioranza venga assegnato al partito che prende il maggior numero di voti, per cui, anche con un numero di voti limitato, prenderebbe da solo il 55 % della rappresentanza parlamentare.
Il 3° quesito chiede l’abrogazione delle candidature multiple.Oggi la possibilità di candidature in più circoscrizioni dà un enorme potere al candidato eletto in più luoghi, che optando per uno dei vari seggi ottenuti, permette che i primi dei candidati “candidati esclusi”(considerando che l’esclusione non deriva dalla mancanza di voti ricevuti ma solamente dalla propria posizione nella lista programmata dalla Segreteria di Partito) della propria lista in quella circoscrizione gli subentrino nel seggio al quale rinunzia. Insomma, una parte dei parlamentari sono scelti dopo le elezioni da chi già è stato eletto e diventano parlamentari per grazia ricevuta.
Dunque, lodevole che il terzo quesito voglia combattere la cooptazione oligarchica del sistema politico, ma non dimentichiamo che i precedenti punti rischiano di danneggiare gravemente il concetto di rappresentanza profondamente insito nella Costituzione che regola la nostra vita. Se per esempio, un partito prende il 30% dei voti si assicura il 55% della rappresentanza in Parlamento, non consentendo di fatto agli elettori di dare la loro reale preferenza, snaturando il concetto di rappresentanza e rendendo diseguale il voto (il mio voto vale più del tuo!)
Si cerca di riproporre, peggiorandola ulteriormente, la Legge Truffa del 1953 che prevedeva il premio di maggioranza del 65% dei seggi alla Camera a chi aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, cioè il 50% +1 dei voti? Ci sarà un motivo se poi tale legge non ha avuto seguito, no?
Voglio dare un breve cenno storico. L’anno scorso si è celebrato l’anniversario dei 150 anni della promulgazione dello Statuto Albertino. Ebbene, Carlo Alberto che pure si era riservato il diritto di nominare i senatori a vita, aveva lasciato, a chi aveva diritto di voto, la possibilità di eleggere i rappresentanti della Camera.
Siamo forse tornati così indietro da essere superati, nel concetto democratico di elezione, anche da Carlo Alberto?

venerdì 17 aprile 2009

PRIMA PUNTATA

In questi giorni tiene banco la polemica sull'ipotetica data in cui svolgere il referendum elettorale. Qualcuno sa esattamente di cosa si tratta?

mercoledì 8 aprile 2009

IL SENSO VERO E ATTUALE DELLA RESISTENZA

Uno dei primi atti importanti del mandato amministrativo del Consiglio Provinciale fu la richiesta, il lavoro sulla richiesta e l’ottenimento, il 25 Aprile del 2005, della medaglia d’oro al merito civile per la Resistenza. E sono sinceramente fiero che questo mandato termini con la visita del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano il 23 aprile, al Cimitero Partigiano di Coazze.Questa notizia mi da la possibilità di chiudere questi editoriali, anche se con qualche giorno in anticipo rispetto all’anniversario della Liberazione, ricordando il valore della resistenza, non solo dal punto di vista simbolico – istituzionale, ma per il significato storico, politico e culturale che ha avuto nella nascita della nostra democrazia e per il messaggio di grande attualità che ancora contiene.Spesso, presenziamo a celebrazioni che commemorano i caduti e i fatti d’arme, e in tali occasioni dobbiamo sforzarci di ragionare sullo spirito vero con cui si era costruita la Resistenza, quello spirito che ha fatto sì, che per la prima volta dopo centinaia di anni, le persone prendessero in mano il loro destino costruendo – attraverso gli ideali e la lotta- l’idea di Nazione.Formalmente, nessuno disconosce i valori della resistenza anche se sovente viene eluso o tradito lo spirito che ha creato l’Italia in cui viviamo. L’eredità della Resistenza risiede oggi nel concetto di libertà, con cui non intendiamo solo (e non lo intende la Costituzione Repubblicana) la libertà di parola, pensiero o religione, ma anche la libertà dal bisogno. Un Paese democratico deve garantire non solo libertà ed uguaglianza ma soprattutto il riconoscimento del diritto al lavoro, come fondamentale strumento di liberazione dal bisogno, e se questo vuol dire che dopo tanti anni di interventi,anche legislativi, di contenimento salariale, si richiede di intervenire sui redditi più alti, non si pratica un’angheria, ma un’operazione di solidarietà ed un’equa e necessaria redistribuzione della ricchezza.

martedì 31 marzo 2009

SENZA PAROLE...

Altra tragedia sul lavoro.
Vincenzo Romano, operaio della Cim (Carpenteria Industriale Metallica) di Chivasso, muore sepolto vivo in un cantiere di Corso Unione Sovietica a Torino mentre con altri operai stava lavorando alla rete fognaria.
E mentre Torino piange per questa ennesima morte bianca, il Governo vara delle modifiche al Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro che, rispetto al precedente, attenua il sistema sanzionatorio pur mantenendo la pena del carcere per le violazioni più gravi: infatti, l’arresto viene ora previsto esclusivamente per l’omessa valutazione dei pericoli nelle aziende che sono ad elevato rischio di incidente.
No comment.

mercoledì 25 marzo 2009

DAL LETAME NASCONO I FIORI?

Dalle stelle alle stalle.
Sabato scorso un gruppo di anarchici a volto coperto ha fatto irruzione al Cambio lanciando per protesta letame addosso agli avventori e al personale di sala. Un segno di protesta contro un emblema del lusso di Torino. Già, perché mentre la crisi mondiale imperversa e centinaia di persone vengono licenziate ogni giorno, qualcuno ostenta il proprio benessere andando fuori a cena nel più rinomato ristorante torinese.
Contemporaneamente, in Sardegna è stata appena disegnata la Finanziaria regionale che abolisce la tassa sul lusso. Ma come? Chi possiede ville e yacth stratosferici e potrebbe pagare più tasse viene esonerato da questo onere? Forse, è l'unica regione del nostro Paese a non risentire della crisi, ma resta un'ipotesi davvero poco credibile.
È evidente che qualcosa non va: la violenta, e permettetemi, vergognosa protesta degli anarchici da un lato e l'abolizione di una tassa in questo contesto economico dall'altra, hanno il triste sapore delle due facce della medesima medaglia. Non è lanciando letame o abolendo tasse che si risolve la crisi economico-finanziaria, ma trovando un equilibrio per risollevare la produzione, i consumi e impedire i licenziamenti.
Infine, vorrei dire a questi gentili signori che si fanno chiamare anarchici che dovrebbero avere con sé un minimo di bagaglio storico prima di irrompere in un locale e riempire di letame persone che lavorano. Sì, perché il personale di sala, i cuochi non si stavano certo godendo una bella serata, anzi lavoravano per portare a casa quei soldi necessari per vivere. Inoltre, non per rimarcare la latente ignoranza storica di costoro, ma lanciare letame è stato un segno profondamente e storicamente offensivo per tutti coloro che nelle campagne hanno vissuto tra miseria ed enormi difficoltà: nessuno avrebbe mai sprecato del prezioso letame.

venerdì 20 marzo 2009

RECUPERIAMO LO SPIRITO VERO DELLA RESISTENZA

Sabato mattina sarò a Luserna San Giovanni per il 65° Anniversario della Battaglia di Pontevecchio, battaglia combattuta valorosamente dai partigiani, mentre Domenica commemorerò i Dieci Martiri del Maiolo ad Alpignao: inizia così un mese ricco di commemorazioni che culminerà il 25 Aprile, con la Festa della Liberazione.
Possiamo affrontare questo mese, che ci separa dal Giorno della Liberazione, in due modi differenti.
Presenziare ad ogni celebrazione mettendo coroncine di fianco ai monumenti che nel tempo sono stati eretti, facendo bei discorsi sul coraggio e i valori che hanno mosso i partigiani e di quanto noi dobbiamo esserne riconoscenti. Bei discorsi…ma le parole possono essere vane.
Forse, oltre a presenziare, bisognerebbe vivere questo mese in seno ad una riflessione approfondita soprattutto sulla base di quello che avviene oggi nel nostro Paese, confrontare la pubblica amministrazione prevista e voluta dalla Costituzione con quella attuale. Quanto di quello che accade oggi sarebbe un tradimento delle aspettative di libertà, uguaglianza e giustizia che hanno portato alla nostra Carta Costituzionale?
Personalmente, mi piacerebbe poter riprendere lo spirito vero con cui si era costruita la Resistenza, quello spirito che ha fatto sì, che per la prima volta dopo centinaia di anni, le persone prendessero in mano il loro destino costruendo – attraverso le idee e la lotta- l’idea di Nazione.
Formalmente, nessuno disconosce i valori della resistenza ma spesso viene tradito quello spirito che ha creato l’Italia in cui viviamo.
Aspettando il 25 aprile, non tradiamoci.
dal blog di Sergio Vallero

mercoledì 18 marzo 2009

ROMPERE IL PATTO DI STABILITA' SE NECESSARIO

Era il lontano 1999 quando, con il Trattato di Maastricht, i Paesi membri dell’Unione Europea decisero di stipulare l’accordo che prese il nome di Patto di Stabilità per controllare le rispettive politiche di bilancio, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione Economica Monetaria e rafforzare le politiche di vigilanza sui deficit e i debiti pubblici. Il resto è storia.
Ma la storia cambia e ora viviamo una grave crisi finanziaria di livello mondiale. Qualche giorno fa la Presidente di Confindustria, Emma Mercegaglia, durante il convegno biennale della Piccola Industria tenutosi a Palermo, ha chiesto allo Stato di mettere soldi reali nel sistema economico per superare questa crisi che ci attanaglia e che non permette alle imprese di sopravvivere.
Su questo aspetto la richiesta (non solo di Confindustria) è ragionevole e quindi, occorre rivedere questo meccanismo (e apprezziamo con favore che un primo passo in Parlamento è stato fatto con l’approvazione della mozione che va in questa direzione), che sta di fatto impedendo agli Enti che dispongono di risorse finanziarie proprie, di investire soldi esistenti e reali per interventi sul territorio che consentirebbero di rispondere adeguatamente a due aspetti. In primo luogo, permetterebbe di investire nella realizzazione di opere necessarie per il territorio. In secondo luogo, risulterebbe essere una vera iniezione di denaro atto a sostenere l’economia e onorare i pagamenti in tempi ragionevoli per il sistema delle imprese che oggi sopportano tempi davvero troppo lunghi con le possibili ripercussioni per i lavoratori occupati.
Per questo motivo credo vada condivisa la manifestazione indetta dall’Anci Piemonte, che ha visto mercoledì 18 marzo i sindaci della provincia di Torino incatenati davanti alla Prefettura. Con questo atto hanno voluto sensibilizzare l’opinione pubblica e il governo sulla crisi e sulle ricadute, anche occupazionale, particolarmente pesanti sul nostro territorio, sollecitando al contempo una modifica di quei vincoli che impediscono alle amministrazioni di spendere le risorse già disponibili nei propri bilanci in quanto, l’eccessiva rigidità del patto di stabilità, rende inattuabile una seria politica di spesa ponendo gli enti dinanzi ad una durissima scelta: ridurre i servizi ai cittadini o tagliare gli investimenti.

dal blog di Sergio Vallero

martedì 3 marzo 2009

LA FUGA DELLE AZIENDE DALL'ITALIA

Notizia di stamattina: lo stabilimento dell’Indesit a None chiude definitivamente i battenti.
Ma in fondo non è novità: Benetton e Merloni hanno comunicato che chiuderanno i loro stabilimenti presenti nella nostra provincia, la prima per spostare la produzione in Tunisia e il secondo, avendo aperto uno stabilimento in Polonia non vede la necessità di tenere in vita anche quello italiano.
La crisi c’è, è un problema reale di portata mondiale ma che si usino questi momenti drammatici per fare operazioni finanziare, riallocare aziende e chiuderne altre, non perché mancano le possibilità nel mercato, ma allo scopo di produrre a bassissimo costo per incrementare i propri profitti, è assolutamente inaccettabile.
Sembra il naturale e ineluttabile percorso delle cose, ne prendiamo notizia con rammarico e profonda rassegnazione? No! La soluzione è un’altra, occorre infatti che la collettività, nelle sue varie articolazioni, incominci a pensare seriamente alla propria tutela, partendo dalla verifica puntuale di come, se, quando e in che modo questi illuminati imprenditori abbiano ricevuto aiuti e contributi statali. Se è vero che in un libero mercato ognuno è libero di fare con i propri soldi ciò che vuole, è anche vero che se la collettività è intervenuta a sostegno di alcuni imprenditori, questi dovrebbero rispondere delle loro azioni alla società.
Con questo voglio richiamare l’attenzione direttamente sulle associazioni imprenditoriali, in particolare Confindustria sempre pronta a puntare il dito sul mondo del lavoro quando, in nome del bene nazionale, chiede interventi di contenimento del salario mentre risulta essere completamente indifferente nel momento in cui le sue associate semplicemente abbandonano il territorio del nostro Paese.
Cinicamente parlando, se continuiamo così, le famose foto d’autore, colorate e attente ai temi sociali, utilizzate per la pubblicità della Benetton potrebbero trovare un ottimo sfondo qui in Italia: un Paese ormai devastato proprio da coloro che dovrebbero far girare l’economia risollevandolo;, ma la povertà oggi non deve essere cercata molto lontano.
Forse, dovremmo far cantare l’inno nazionale non tanto ai calciatori ma a questi imprenditori irresponsabili e senza scrupoli…chissà che non venga anche a loro un po’ di amore per la patria.
dal blog di Sergio Vallero

venerdì 27 febbraio 2009

FIAT: CASSA INTEGRAZIONE E BONUS AI DIRIGENTI

Martedì scorso abbiamo letto la notizia che il Consiglio di Amministrazione della FIAT ha deciso di acquisire sul mercato ottomilioni delle azioni del gruppo da destinare come incentivo ai suoi dirigenti.

Ottomilioni di azioni valgono, alle quotazioni attuali di mercato, poco più di 28 milioni di euro.

Ne consegue che la multinazionale dell’auto ha deciso di riconoscere ad un certo numero di dirigenti un aumento economico, o meglio una gratifica, di 28 milioni di euro.

Per essere puntigliosi, sempre in base alle notizie di stampa, di riconoscere settemilioni di euro all’Amministratore delegato e il resto ai dirigenti che risulteranno meritevoli nel raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2011.

Ora, mi attendevo che i fustigatori della pubblica morale avessero qualche osservazione da fare.

Mi attendevo che gli illuminati riformisti, pronti ad ogni tre per due, a spiegare ai lavoratori dipendenti che devono fare sacrifici, si strappassero le vesti per lo sdegno e per lo scandalo morale di così tanti soldi dati a così pochi mega dirigenti.

Mi attendevo che la Curia torinese, così pronta ad intervenire su tutto lo scibile umano (dalle questioni etiche alla TAV) provasse almeno a sussurrare qualche imbarazzo di fronte a manager super pagati e a lavoratori in cassa integrazione.

Speravo che gli operatori della informazione, ormai così attenti ai fatti di costume, analizzassero la notizia e, magari, si cimentassero in quei sondaggi che rendono molto bene quando sondano gli umori nei confronti delle paure o del degrado cittadino.

Contavo molto sugli ammiratori nostrani del nuovo Presidente degli Stati Uniti, delle sue politiche economiche e sociali ( comprese tasse ai più ricchi e freni ai mega stipendi) perché intervenissero per lanciare anche qui il loro basta.

Nulla, il silenzio più assoluto, devastante, fastidioso,irritante.

Rien de rien come cantava Edit Piaff.

E allora scrivo questa lettera per dire che non ci sto.

Non posso andare davanti ad aziende che chiudono, vedere donne e uomini che tra due o tre mesi non avranno più uno stipendio e sapere che un gruppo ristretto e privilegiato di persone avrà aumentato lo stipendio di 28 milioni di euro.

Non posso non ricordare come 28 milioni di euro siano più di un terzo di tutti i soldi investiti dagli enti locali per acquisire le aree FIAT dismesse per sostenere l’Azienda, non certo per dare aumenti ai manager.

Sono un amministratore locale e la mia voce conta per uno. Ma se saremo in tanti a indignarci, a chiedere conto a questi signori di privilegi e arroganti decisioni assunte mentre chiedono incentivi pubblici per sostenere l’azienda, romperemo questo muro di silenzio ipocrita e fastidioso.

C’erano già tanti motivi per aderire alla marcia per il lavoro della CGIL che si terrà sabato.

Questo è sicuramente uno in più.


dal blog di Sergio Vallero

mercoledì 18 febbraio 2009

PROBLEMA SICUREZZA

Rispondo alla Signora che ha scritto ieri un interessante commento.
Per non girarci troppo attorno: la questione posta dall’anonima commentatrice è vera e reale: nascondendosi dietro a risposte evasive o fingere che non sia così non ci aiuta certamente a capire cosa succede nella vita reale con conseguenze che alla lunga possono diventare disastrose.
La questione non è però puntare il dito sulla nazionalità di chi compie un atto illegale, ma concentrarsi sull’atto stesso. Porto un esempio: durante la “Festa Rossa” tenutasi il Settembre scorso a Candiolo un manipolo di persone sono arrivate mentre si festeggiava e hanno dato inizio ad una rissa molto violenta. Io stesso sono stato malmenato e un mio caro amico è dovuto andare in ospedale. Non erano né rumeni, né albanesi e neppure magrebini…erano tutti personaggi di italica cittadinanza!
Dunque, il problema è concreto ma le risposte sbagliate: si urla all’untore, si grida l’emergenza, si approvano decreti su decreti, si pensano pene altissime per chi viola la legge, si organizzano ronde e si colpevolizzano gli extracomunitari, senza tenere conto che la violenza dilagante oggi è dovuta anche a cittadini italiani. La violenza è violenza senza preferenze di colore o provenienza.
Di fronte al problema della sicurezza che si presenta, oggi più che mai urgente, occorrono delle risposte diverse.
Ovviamente il presidio del territorio. Occorre quindi che le forze dell’ordine siano più presenti con azioni di prevenzione e repressione nei confronti di coloro che commettono reati.
Altrettanto importante la certezza e la velocità della pena. Non basta annunciare pene severissime se poi chi commette reati non resta in carcere, occorre che i tribunali assicurino veramente i trasgressori alle pene correlate, e che ci sia una velocità effettiva nell’esecuzione di tali pene.
Terzo punto importante, ripristinare il principio che l’arroganza e la prepotenza non pagano, sia che si parli di reati contro le persone, sia che si parli di reati contro la proprietà – anche se a commetterli sono i grandi speculatori finanziari – oppure che si tratti di norme che vanno a tutela solo di qualcuno (dal Lodo Alfano alle quote latte).
Infine, intervenire sul territorio come seria opera di prevenzione. Occorre che si organizzino i tempi e luoghi per una rinnovata vita collettiva che torni a riempire le città perché, è stato provato, che laddove i cittadini non vivono più le strade delle loro città queste si riempiono delle più svariate forme di devianza.
Sono risposte complesse per un problema altrettanto difficile che non tocca solo il nostro Paese ma tutte le aeree a grande concentrazione urbana. Purtroppo, il problema della sicurezza non si risolve con l’immediatezza e né tanto meno fomentando la paura che anzi, rischia di acuire anche quel fenomeno che è la percezione dell’insicurezza facendo intravedere fantasmi anche laddove non esistono.

dal blog di sergio vallero

lunedì 16 febbraio 2009

QUOTE LATTE

L’Italia dei condoni.
Condoni edilizi, fiscali e ora vengono anche premiati coloro che non hanno rispettato le quote latte. Il 5 Febbraio scorso il governo ha presentato un nuovo decreto legge. L’ennesimo. Questa volta, al centro dell’attenzione governativa non si è posta la sicurezza con le sue ronde di “bravi” cittadini o la “salvaguardia” estrema di una vita umana, no, ora si ritorna a parlare di quote latte. E a rimetterci – come sempre– sono proprio i produttori onesti che hanno rispettato e seguito la legge.
Nuove quote giungeranno da Bruxelles e il nostro Paese ha il compito di ripartirle nel modo migliore: invece di prediligere chi le leggi le ha rispettate, oggi si vogliono dare nuove possibilità a chi le quote di produzione le ha sempre, continuamente e volontariamente sorpassate.Oltre il danno anche la beffa. I produttori di latte che hanno fatto, con ingenti sforzi, continui investimenti per restare dentro i parametri, si vedono ora togliere la possibilità di avere delle agevolazioni.
Ricominceremo a vedere strade e piazze in un fiume di latte occupate da questi produttori?
Giustamente, i rappresentanti del mondo agricolo si sono rivolti alle istituzioni a loro più vicine. Per questo, g giovedì pomeriggio si è riunita la commissione agricoltura in Provincia dove si è discusso di questa problematica vicenda, ascoltando varie associazioni tra cui Coldiretti, Confagricoltura, l’Associazione Regionale Produttori di Latte e la Confederazione Italiana Allevatori, erano presenti anche rappresentanti del Cobas che però non sono intervenuti. Le posizioni di malessere raccolte durante la commissione sono state doverosamente accolte e ho dato il mio impegno a discutere questo spinoso problema al più presto in sede consigliare.
Ma come possiamo aiutare questi onesti produttori di latte se il governo passa ancora una volta un colpo di spugna sulle questioni istituzionali? Già, si predica bene e si razzola male: si inneggia al decentramento, al Federalismo come unica possibilità di migliorare la situazione in Italia e poi si nomina un commissario nazionale che si occupi della distribuzione delle quote latte. Vergognosa e gravissima ingerenza, con cui Regione e Provincia sono state espropriate delle loro competenze, per fare in modo che non si frappongano ostacoli alla volontà del governo e del ministro Zaia di portare a compimento l’impiego di tutelare e salvaguardare i grandi produttori che hanno violato le regole.


dal blog di sergio vallero

martedì 10 febbraio 2009

GIORNO DEL RICORDO

Il 10 Febbraio del 1947, con il Trattato di Parigi, vennero tracciati i nuovi confini dell’Europa post bellica.
La nazioni sconfitte, Italia e Germania, si videro modificare i confini territoriali per cui, Istria e Dalmazia furono assegnate alla Repubblica Iugoslava. Questo spostamento geografico sanzionò quanto era già in atto dal 1945, sanzionò che migliaia di persone erano minoranza etnica in un paese non più loro.
Furono tantissimi quelli che decisero di emigrare dalle loro case, dalle loro terre, per entrare nel territorio Italiano.
Un esodo doloroso, che concluse un lungo periodo di anni duri, iniziate con l’occupazione dei paesi balcanici da parte dell’esercito italiano, con l’accompagnamento di uccisioni e distruzioni che, poco o nulla, avevano da invidiare a quelle dell’alleato tedesco che ben abbiamo conosciuto nel nostro paese.
Anni proseguiti con la ritorsione violenta e sanguinosa operata dagli iugoslavi nei confronti delle popolazioni di lingua italiana. Migliaia di uccisioni che assunsero una vera e propria caratteristica di pulizia etnica.
E infine l’esodo, i campi profughi, l’essere e sentirsi stranieri in casa propria.
Una storia poco conosciuta che dobbiamo ancora approfondire e studiare.
Una storia che, come abbiamo ripetuto in questi anni di commemorazioni, ha visto gli istriani e i dalmati pagare un prezzo altissimo alla follia della guerra e della dittatura.
Come in ogni occasione in cui, una legge dello stato, ci impone di celebrare o commemorare una data o un avvenimento, noi possiamo comportarci in modo formalmente ineccepibile e burocratico, aderendo con momenti formali, appunto, squisitamente commemorativi. Oppure utilizzare l’occasione per riflettere sul perché possano succedere fatti così drammatici, perché uomini e donne possano trasformarsi in persecutori e aguzzini, in nome di una superiorità etnica o territoriale.
Noi, noi tutti, abbiamo assaporato, da ormai quattro generazioni, il gusto di vivere in pace, di vivere in un paese democratico, di essere tutelati da una Costituzione che ha saputo fare tesoro delle esperienze drammatiche della guerra e della dittatura.
Ricordare la nostra storia, i drammi e le paure vissute può aiutarci ad essere più consapevoli del nostro presente. Un presente che in questi giorni ci rimanda un paese giustamente diviso su una questione sensibile come il rapporto tra la vita e la morte, tra il diritto del singolo e gli obblighi di una collettività.
Non c’è miglior antidoto alla dittatura che la libertà di criticare ilo potere e chi lo rappresenta. Ma criticare, anche aspramente non è intaccare figure e ruoli istituzionali, come quello del Presidente della Repubblica. No lo è intaccare il principio sacrosanto della separazione dei poteri e del controllo tra ordinamenti e poteri che sono la salvaguardia, in un paese democratico, che nessuno possa mai, in nessun momento, prevaricare l’ordinamento democratico e costituzionale, unico e v ero baluardo al mantenimento della libertà di tutti.
Per condivisione di quanto contenuto, e in esplicita solidarietà con il nostro Presidente della Repubblica, voglio concludere riportando una parte del messaggio che, il Presidente ha pronunciato questa mattina, nella cerimonia tenuta al Quirinale: “Il Giorno del Ricordo voluto dal Parlamento ha corrisposto all’esigenza di un riconoscimento umano e istituzionale, già per troppo tempo mancato e giustamente sollecitato. Esso non ha nulla a che vedere col revisionismo storico, col revanscismo e col nazionalismo. La memoria che coltiviamo innanzitutto è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sue avventure di aggressione e di guerra. E non c’è espressione più alta di questa nostra co9nsapevolezza, di quella che è segnata nell’articolo 11 della nostra Costituzione, là dove è sancito il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. Non dimentichiamo e cancelliamo nulla: nemmeno le sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo e della guerra. Ma non possiamo certo dimenticare le sofferenze, fino a un’orribile morte, inflitte a italiani assolutamente immuni da ogni colpa. E non possiamo non sentirci vicini a quanti hanno sofferto comunque di uno sradicamento a cui è giusto che si ponga riparo attraverso un’obbiettiva ricognizione storica e una valorizzazione di identità culturali, di lingua, di tradizioni, che non possono essere cancellate. Nessuna identità può essere sacrificata o tenuta ai margini nell’Europa unita che vogliamo far crescere anche insieme alla Slovenia e alla Croazia democratiche.
Le nuove generazioni non possono lasciar pesare sull’amicizia tra i nostri paesi le colpe e le divisioni del passato: alle nuove generazioni spetta fare opera di verità e di giustizia, nello spirito della pace e dell’integrazione europea, sempre rendendo omaggio alla memoria delle vittime e al dolore dei sopravissuti, rendendovi omaggio con lo sguardo più che mai volto al futuro”.

venerdì 6 febbraio 2009

SOLIDARIETA' AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NAPOLITANO

Quanti strappi ancora alla Costituzione?
Solo ieri è stata approvata la norma sulla sicurezza e oggi si presenta un nuovo, grosso problema: è stato approvato il decreto legge sul caso di Eluana Englaro nonostante l’avviso del Presidente della Repubblica a non avviare il procedimento. Fortunatamente Napolitano non ha controfirmato il decreto ricevendo moltissimi messaggi di solidarietà.
E’ inconcepibile che il Governo non abbia accolto le parole di Napolitano, arrogandosi il diritto di varare questo nuovo decreto. La gravità di questo atto risiede anche nella affermazione di Berlusconi che se il Presidente della Repubblica non avesse apposto la sua firma, nel giro di tre giorni si sarebbe creata una nuova legge.
Ma dove è finito il rispetto per la Costituzione? E per il garante di questa?
In questi giorni si presentano ai nostri occhi tutti segnali pericolosi per un Paese civile. E la domanda sorge spontanea: dopo il decreto di ieri, pensano di mandare le ronde anche sotto il Quirinale per minacciare il Presidente della Repubblica?
Presidente, a cui va tutta la mia solidarietà.

giovedì 5 febbraio 2009

SI CHIAMANO POPOLO DELLE LIBERTA'

Oggi al Senato della Repubblica è stata approvata a maggioranza una norma intollerabile: i medici dovranno denunciare gli immigrati clandestini, la tassa di soggiorno aumenta da 80 a 200 euro, le persone senza fissa dimora verranno schedate e come se non bastasse si autorizzano le ronde purché non armate.
Si chiamano Popolo delle Libertà, ma vogliono imporre leggi indegne per un Paese civile.
Impongono, o tentano di imporre, limiti inaccettabili alla libertà delle persone, sorvolano sul sacrosanto principio del segreto professionale, obbligando i medici ad andare contro il loro stesso codice deontologico. Ma non si pensano agli effetti. I clandestini, per paura, non si faranno più curare dalle nostre strutture pubbliche, incentivando probabilmente vie mediche alternative quanto mai pericolose. I diritti umani vengono così tristemente dimenticati e sorpassati dalla questione della cittadinanza.
Nel contempo, il Governo si intromette con provvedimenti legislativi negli aspetti più delicati e intimi della vita delle persone. E’ un paradosso, ma se da una parte non si vogliono più garantire le cure necessarie alle persone senza cittadinanza, dall’altra si impongono cure, basti pensare al caso di Eluana Englaro.
Oggi, nel mirino ci sono gli extra comunitari poiché proprio queste leggi liberticide vengono dapprima applicate sui soggetti più deboli colpendo nel contempo la sensibilità dei cittadini che in questo momento sono spaventati dalla tremenda crisi attuale nonché dalla dilagante violenza urbana. Timore che senza dubbio viene alimentato e amplificato da un sistema mediatico che con ossessiva maniacalità si occupa più della provenienza del colpevole che della gravità del reato commesso.
Ma superato il limite, abbattuto il principio, dove ci si ferma? Come persone civili ci si deve indignare dinnanzi a questi atti legislativi che pestano i diritti umani, il vivere civile, la dignità umana.
E’ davvero da questo governo che vogliamo essere rappresentati nel mondo?
E’ davvero quello che vogliamo a sessant’anni dalla approvazione della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo?

mercoledì 4 febbraio 2009

OPERAI ITALIANI CONTESTATI IN INGHILTERRA

Viva l’Europa delle libere frontiere, della libera circolazione delle merci e delle persone.
Gia, fino a quando le persone sono turisti, uomini o donne d’affari, businnes men (women) o calciatori.
Non certo se sono operai o tecnici.
La favola dell’Europa libera e unica si trasforma in un incubo (come per i lavoratori italiani che in questi giorni vengono contestati in Inghilterra).
Colpa degli abitanti della “perfida Albione”, abituati da secoli di storia coloniale ad occupare ed invadere e non ad essere “invasi”?
Colpa dell’immagine non sempre brillante che ci accompagna all’estero, tipo pizza – mafia – mandolino?
Se vogliamo inventarci delle risposte abbiamo da pescare in migliaia di luoghi comuni che, come paraventi, possiamo mettere tra noi e la realtà.
Una realtà che si è alimentata in questi decenni della retorica del liberismo più sfrenato, degli accordi mondiali sulla regolamentazione dei mercati e delle merci e che ha fatto macelleria sociale di chi (i lavoratori) queste merci produce.
Basta fare un piccolo sforzo di memoria per andare alle tante aziende (italiane e non) chiuse per essere decentrate nei paesi in cui, bassi salari e pochi diritti, garantivano (e garantiscono) alti profitti da investire, magari, nelle speculazioni finanziarie.
Adesso siamo al dunque e la questione dei nostri connazionali contestati in Inghilterra, rischia di essere la punta più visibile di un conflitto che, abilmente, è stato spostato da quello storico (almeno dalla industrializzazione di metà ottocento) tra capitale e lavoro a quello tra territori, che da sempre si tramuta, inesorabilmente, nella competizione tra poveri.
Una delle grandi conquiste culturali dell’epoca moderna è stata quella di considerare il lavoro come elemento fondante del diritto di cittadinanza, sostituendolo ai diritti feudali o al mero possesso di beni. Lavori, produci, sei partecipe (alla pari) nella costruzione del benessere collettivo.
Non merce, quindi, ma diritto fondante e costitutivo di una società moderna e democratica.
La rabbia, legittima, che proviamo nel vedere insultati i nostri connazionali, dovrebbe indurci a riflettere sul dove stiamo andando, sul perché è successo e, magari, iniziare a vaccinarci contro quella pessima malattia che ci fa gridare contro gli stranieri che ci porterebbero via il lavoro e non contro chi il lavoro lo toglie o lo sposta, pensando molto poco al bene nazionale e molto più al suo conto in banca.

mercoledì 28 gennaio 2009

GIORNATA NAZIONALE DELLA PARTECIPAZIONE

CONSIGLIO PROVINCIALE APERTO 30 GENNAIO 2009 ORE 15.00

Il Presidente del Consiglio Provinciale, Sergio Vallero, ha proposto durante la conferenza capigruppo di convocare un Consiglio Provinciale aperto, in occasione della giornata nazionale della partecipazione, sulla questione dell’abolizione delle Province. La proposta, accettata dai capigruppo, ha portato alla convocazione del Consiglio aperto venerdì 30 gennaio alle ore 15.00.
La Provincia di Torino aderisce così alla decisione del consiglio direttivo dell’Upi, Unione Province Italiane, di tenere in tutta Italia Consigli Provinciali aperti che danno la possibilità a sindaci, rappresentanti di Parlamento e Regioni nonché a imprenditori e cittadini di parteciparvi.
Con l’avvio del dibattito parlamentare sul federalismo fiscale, contestualmente alla attuale crisi economica nazionale e mondiale, è ripresa la campagna denigratoria contro le Province e, in generale, contro le istituzioni territoriali che fondano il presidio pluralistico e democratico della Repubblica Italiana. L’abolizione delle Province è senza dubbio un “attacco alla democrazia”, in quanto verrebbe meno l’unico ente che sul territorio ha la legittimazione democratica nonché una forte capacità di rappresentanza generale ed organizzata.
Inoltre, in questo dibattito non si comprende quale sia il reale risparmio derivante dalla soppressione delle Province, considerato che l’incremento delle spese e del personale sono causati da deleghe di funzioni o trasferimenti da parte di Stato e Regioni.
L’obbiettivo del Consiglio aperto è quello di sollecitare Governo e Parlamento alla rapida approvazione di norme che possano semplificare e razionalizzare le funzioni ad ogni livello di governo previsto dalla Costituzione, ma non solo, sarà anche un’occasione per ribadire il quotidiano impegno delle Province sul territorio.

mercoledì 21 gennaio 2009

GIORNO DELLA MEMORIA

Memoria è un termine che può essere declinato in molti modi.
C’è una memoria che conserva i nostri ricordi individuali, rimandandoci nostalgia o dolore o sofferenza.
C’è una memoria collettiva, costitutiva nel bene e nel male del nostro modo di essere comunità.
C’è una memoria storica, elenco di fatti, avvenimenti e attori di questi.
Nel caso della Shoa abbiamo la necessità, il dovere, di coltivare più tipi di memoria.
Certamente quella storica, quella dei fatti, degli avvenimenti, del perché sono successi, di chi erano le colpe, di chi le indifferenze, chi le vittime.
Abbiamo la necessità di farlo perché, se pure e fortunatamente, da parte di piccole minoranze si nega quanto successo, si negano non solo i numeri, ma la stessa esistenza di un progetto, di una pianificazione ragionieristica dello sterminio degli Ebrei europei, degli zingari, delle popolazioni (come quelle Slave) considerate non di razza ariana.
Memoria storica da trasmettere in modo puntiglioso per evitare che, menzogne o fantasiose verità, nel tempo diventino vulgata, senso comune.
Ma, alla memoria storica, rigorosa sui fatti, sugli attori, sulle vittime, dobbiamo affiancare quella sul perché donne e uomini della Germania, della Francia ,dell’Italia, paesi certamente ricchi di storia e di cultura, culla del pensiero moderno, perché quelle donne e quegli uomini si trasformarono in carnefici feroci o, nella migliore delle ipotesi, in testimoni muti e accondiscendenti.
Il giudeo delle barzellette, il deicida (per altro ritornato alla ribalta nelle dichiarazioni del vescovo lefevriano che nelle scorse settimane ha impunemente dichiarato la inesistenza dell’olocausto) l’avido speculatore, erano stereotipi diffusi nell’Europa di inizio secolo, stereotipi accettati, frutto di centinaia di anni di persecuzioni religiose e di emarginazioni sociali.
Un terreno di cultura su cui il regime nazista fece leva per individuare il nemico interno, ostacolo allo sviluppo di una nuova grande nazione, forte, padrona del mondo, composta da popolazioni di razza pura, di razza ariana.
Una strada che fu presto seguita dal regime fascista italiano e da quasi tutti i regimi collaborazionisti nati nella Europa occupata dalle truppe naziste.
Sarebbe interessante e istruttivo che tutti, almeno una volta nella vita, leggessero il “manifesto della razza” per comprendere a quali livelli di stupidità umana possa giungere chi, piccandosi di essere un intellettuale, si asservisce al potere, o chi tenta di dare dignità scientifica a tesi ed argomenti che hanno radice solo nella pochezza culturale, nell’egoismo dei singoli, nella paura di affrontare il futuro.
Quindi la memoria di quanto successe, del perché fu possibile e, mi permetto di affermare, l’uso e la attualizzazione di questa memoria per evitare che tutto rimanga a livello commemorativo.
Se ancora oggi le nostre comunità non sono vaccinate contro il germe del razzismo, se ancora è possibile che in più parti del mondo si compiano genocidi che rischiano di eliminare interi ceppi etnici, noi abbiamo bisogno di mantenere attuale la memoria della Shoa.
Sino a quando non proveremo lo stesso senso di sgomento, di angoscia, di orrore e di rabbia che proviamo nel vedere le immagini dei campi di sterminio nazisti anche di fronte alle immagini dei nuovi genocidi, non saremo immuni dalla possibilità che possano riprodursi anche qui, da noi, i pensieri aberranti della superiorità razziale o della distruzione, o emarginazione, di chi è ritenuto inferiore.
Prima di dare la parola al Dottor Montagnana che ringrazio per aver aderito al nostro invito e che interverrà a nome della Comunità Ebraica di Torino, vorrei richiamare ancora un punto di riflessione che riguarda l’ipocrisia.
Di fronte alla conclamata conoscenza di quanto avveniva, l’ipocrisia fu uno degli elementi che consentì il concretizzarsi dello sterminio di milioni di Ebrei, di zingari, di testimoni di Geova, delle popolazioni slave, degli omosessuali, dei portatori di handicap.
E, per quanto riguarda il nostro paese, anche consentire la deportazione di centinaia di migliaia di militari che, dopo l’otto settembre rifiutarono di continuare la guerra a fianco dei nazisti e della repubblica di Salò, delle migliaia di persone destinate al lavoro coatto, degli oppositori politici dei partigiani combattenti.
L’ipocrisia del silenzio, del voltarsi dall’altra parte per non vedere, del non ci interessa.
L’ipocrisia di chi non scelse e accettò quanto avveniva come ineluttabile, come un fatto a cui non era possibile opporsi.
È una ulteriore memoria, quella della ipocrisia, che dobbiamo coltivare insieme a quella dei tanti che non furono ipocriti, che si batterono con o senza le armi, quelli che in una giornata come oggi, vogliamo ricordare come i giusti.
E, per non praticare in questa aula nessun tipo di ipocrisia, concludo questa introduzione richiamando un tema oggi drammaticamente attuale e che può essere, anzi è stato, foriero di pericolosi rigurgiti di antisemitismo e di gesti di intolleranza.
La guerra in Palestina.
La guerra in Palestina ha prodotto in tutti noi sentimenti di grande sofferenza e ha scosso la coscienza di moltissime persone.
Le immagini di devastazione e di morte per giorni ci hanno fatto vivere il dramma delle popolazioni civili coinvolte in un conflitto che sembra non trovare conclusione se non con la distruzione fisica dell’avversario.
In molti sono scesi in piazza per contestare le politiche del Governo di Israele. Sino a qui scelta legittima, da rispettare e, se lo si ritiene, da condividere.
Diverso e inaccettabile che, queste contestazioni scendano sul terreno dell’offesa ad un popolo con i roghi di bandiere o con atti compiuti contro cittadini italiani membri delle comunità ebraiche, accumunando in un unicum, Stato di Israele, Governo di Israele, popolo di Israele e ebrei, per il solo fatto di esserlo.
Anche in questo caso la memoria ci deve aiutare a distinguere (così come facciamo nel caso in cui nel conflitto siano impegnati altri stati e altri governi) tra le scelte di questi e i popoli che rappresentano, tra quello che possiamo considerare un errore, o un orrore, compiuto da alcuni e la generalizzazione nei confronti dei tutti.
Quando questo succede non possiamo che essere senza equivoci contro chi si produce in questi atti o in queste riflessioni.
Solo così, l’esercizio e l’uso della memoria hanno un senso e sono utili a fare in modo che, più nessuna donna e nessun uomo, siano vittime di razzismi, di furori religiosi o ideologici.