martedì 10 febbraio 2009

GIORNO DEL RICORDO

Il 10 Febbraio del 1947, con il Trattato di Parigi, vennero tracciati i nuovi confini dell’Europa post bellica.
La nazioni sconfitte, Italia e Germania, si videro modificare i confini territoriali per cui, Istria e Dalmazia furono assegnate alla Repubblica Iugoslava. Questo spostamento geografico sanzionò quanto era già in atto dal 1945, sanzionò che migliaia di persone erano minoranza etnica in un paese non più loro.
Furono tantissimi quelli che decisero di emigrare dalle loro case, dalle loro terre, per entrare nel territorio Italiano.
Un esodo doloroso, che concluse un lungo periodo di anni duri, iniziate con l’occupazione dei paesi balcanici da parte dell’esercito italiano, con l’accompagnamento di uccisioni e distruzioni che, poco o nulla, avevano da invidiare a quelle dell’alleato tedesco che ben abbiamo conosciuto nel nostro paese.
Anni proseguiti con la ritorsione violenta e sanguinosa operata dagli iugoslavi nei confronti delle popolazioni di lingua italiana. Migliaia di uccisioni che assunsero una vera e propria caratteristica di pulizia etnica.
E infine l’esodo, i campi profughi, l’essere e sentirsi stranieri in casa propria.
Una storia poco conosciuta che dobbiamo ancora approfondire e studiare.
Una storia che, come abbiamo ripetuto in questi anni di commemorazioni, ha visto gli istriani e i dalmati pagare un prezzo altissimo alla follia della guerra e della dittatura.
Come in ogni occasione in cui, una legge dello stato, ci impone di celebrare o commemorare una data o un avvenimento, noi possiamo comportarci in modo formalmente ineccepibile e burocratico, aderendo con momenti formali, appunto, squisitamente commemorativi. Oppure utilizzare l’occasione per riflettere sul perché possano succedere fatti così drammatici, perché uomini e donne possano trasformarsi in persecutori e aguzzini, in nome di una superiorità etnica o territoriale.
Noi, noi tutti, abbiamo assaporato, da ormai quattro generazioni, il gusto di vivere in pace, di vivere in un paese democratico, di essere tutelati da una Costituzione che ha saputo fare tesoro delle esperienze drammatiche della guerra e della dittatura.
Ricordare la nostra storia, i drammi e le paure vissute può aiutarci ad essere più consapevoli del nostro presente. Un presente che in questi giorni ci rimanda un paese giustamente diviso su una questione sensibile come il rapporto tra la vita e la morte, tra il diritto del singolo e gli obblighi di una collettività.
Non c’è miglior antidoto alla dittatura che la libertà di criticare ilo potere e chi lo rappresenta. Ma criticare, anche aspramente non è intaccare figure e ruoli istituzionali, come quello del Presidente della Repubblica. No lo è intaccare il principio sacrosanto della separazione dei poteri e del controllo tra ordinamenti e poteri che sono la salvaguardia, in un paese democratico, che nessuno possa mai, in nessun momento, prevaricare l’ordinamento democratico e costituzionale, unico e v ero baluardo al mantenimento della libertà di tutti.
Per condivisione di quanto contenuto, e in esplicita solidarietà con il nostro Presidente della Repubblica, voglio concludere riportando una parte del messaggio che, il Presidente ha pronunciato questa mattina, nella cerimonia tenuta al Quirinale: “Il Giorno del Ricordo voluto dal Parlamento ha corrisposto all’esigenza di un riconoscimento umano e istituzionale, già per troppo tempo mancato e giustamente sollecitato. Esso non ha nulla a che vedere col revisionismo storico, col revanscismo e col nazionalismo. La memoria che coltiviamo innanzitutto è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sue avventure di aggressione e di guerra. E non c’è espressione più alta di questa nostra co9nsapevolezza, di quella che è segnata nell’articolo 11 della nostra Costituzione, là dove è sancito il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. Non dimentichiamo e cancelliamo nulla: nemmeno le sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo e della guerra. Ma non possiamo certo dimenticare le sofferenze, fino a un’orribile morte, inflitte a italiani assolutamente immuni da ogni colpa. E non possiamo non sentirci vicini a quanti hanno sofferto comunque di uno sradicamento a cui è giusto che si ponga riparo attraverso un’obbiettiva ricognizione storica e una valorizzazione di identità culturali, di lingua, di tradizioni, che non possono essere cancellate. Nessuna identità può essere sacrificata o tenuta ai margini nell’Europa unita che vogliamo far crescere anche insieme alla Slovenia e alla Croazia democratiche.
Le nuove generazioni non possono lasciar pesare sull’amicizia tra i nostri paesi le colpe e le divisioni del passato: alle nuove generazioni spetta fare opera di verità e di giustizia, nello spirito della pace e dell’integrazione europea, sempre rendendo omaggio alla memoria delle vittime e al dolore dei sopravissuti, rendendovi omaggio con lo sguardo più che mai volto al futuro”.

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